Piedimonte: la massima priorità è darsi una prospettiva
Viene da ripensare al bel libro, per quanto inquietante, di Bruno Arpaia, “Qualcosa, là fuori”, un romanzo nel quale l’autore immagina lo scenario apocalittico che potrebbe profilarsi, sul pianeta Terra, di qui a qualche decennio, se non si porrà un serio rimedio alla immissione di anidride carbonica in atmosfera, con tutti gli annessi e i connessi.
Piedimonte Matese non è il Pianeta Terra, ma una ormai caotica cittadina della fascia appenninica del Sud Italia, un luogo che per molti anni è stato epicentro comprensoriale del massiccio montuoso del Matese, dove, nel Dopoguerra, sono sorte scuole, uffici, piccole industrie, piccole imprese, una importante rete commerciale, un grande ospedale.
La cittadina ha conservato, fino ad un certo momento, l’insolita denominazione di “piccola Svizzera della provincia di Caserta”. Sì, un luogo ameno, produttivo, ricco di sentieri, boschi, sorgenti, con suggestivi quartieri ricchi di peculiarità storico-artistiche, una dimensione, si direbbe, “a misura d’uomo” pur avendo essa assunto il ruolo di “piccolo capoluogo” per l’area del Matese e della media Valle del Volturno.
Il declino di questa amena località ha preso avvio con la fine della cosiddetta “Prima Repubblica”, complici, da un lato, le schizofreniche politiche governative, che hanno alternato cieca fiducia nel progressivo decentramento amministrativo e nella tutela dei piccoli comuni a approcci centralisti che, al contrario, hanno cancellato servizi e impoverito le aree interne, determinando la chiusura di tribunali e altri importanti uffici territoriali, mettendo a rischio reti commerciali cittadine e piccole imprese; dall’altro, complice il malgoverno locale, regionale e provinciale, senza tralasciare l’atavica divisione fra i sindaci del comprensorio, si è creato un mix di fattori che ha ridotto occasioni di sviluppo importanti, come quella del Parco regionale del Matese, a episodiche avventure di sciacallaggio politico e di non oculata gestione di denaro pubblico (ben 35 milioni di euro sono stati stanziati, sul Matese, nel 2005 con il piano integrato del Parco), senza che sul territorio restasse un imprinting chiaro e lineare degli obiettivi voluti dalle politiche ambientali.
Bene, oggi che questa cittadina è giunta al 2017, la sensazione di sconcerto e di spaesamento è pressoché unanime. Dopo decenni di saldo benessere, dopo i ruggenti anni Ottanta, il Matese ha imboccato la sua lenta strada verso il declino. Sempre colpa della politica del Governo centrale e di quello regionale, o anche colpa dei cittadini che non hanno saputo auto amministrarsi, cercando di cogliere al meglio opportunità e risorse che – comunque – non sono mancate?
Non ne facciamo una mera questione di buona o cattiva amministrazione civica: quel che è mancato è stato un impegno “a staffetta” fra questa e quella amministrazione; così come è mancata una visione a lungo termine di un’idea di città, che prescindesse dalla cura del manto stradale e dai marciapiedi per guardare oltre, per guardare, cioè, allo sviluppo di quelle potenzialità inespresse (vedi turismo ambientale, vedi valorizzazione dei borghi, vedi recupero dell’identità urbana ecc.) che una volta “a regime” avrebbero potuto (e dovuto) rimettere in gioco una cittadina tanto importante quanto, oggi, disorientata.
Dal piano urbanistico - mai approvato o quanto meno portato ad un livello prossimo all’approvazione - alla selvaggia espansione urbana che ha rubato suolo prezioso al comparto rurale; dalla mancata messa a regime di beni archeologici o culturali - il cui recupero è stato finanziato con ingenti fondi pubblici (basti pensare al parco del Monte Cila o all’ex Abbazia dei Celestini) - alla scommessa persa del parco regionale del Matese; dal mancato sviluppo di una rete capillare di servizi socioassistenziali all’assenza di un restyling urbano che riportasse il centro cittadino in linea con i tempi (piazza Carmine, via Vincenzo Caso, via Luigi Ferritto hanno ancora – tanto per fare un esempio – gli impianti della pubblica illuminazione risalenti agli anni Ottanta). L’elenco è lungo e, d’altronde, qualsiasi elenco rischierebbe di essere poco esaustivo rispetto alle emergenze che la città lascia intravedere e che inficiano il livello complessivo della qualità della vita (vogliamo parlare, tanto per fare l’esempio più banale, del verde pubblico attrezzato, oggi bene assolutamente indisponibile per chi vive a Piedimonte Matese?).
Nel lungo elenco di criticità, spicca però quello dei tributi, delle finanze e di un bilancio che occorrerebbe scandagliare ai raggi x per capirne l’effettiva consistenza, per comprenderne la tipologia di crediti e debiti, per capire una volta per tutte il livello di indebitamento del Comune e l’esigibilità di taluni – o tutti – dei suoi crediti, in definitiva, cioè, per capire, nel concreto, tanto per fare un esempio, quanti e quali cittadini da sempre non pagano i tributi, non hanno mai avuto consumi idrici messi a ruolo oppure occupano abusivamente immobili di proprietà comunale, consumando, a spese della collettività, riscaldamento in inverno e aria condizionata d’estate, senza che un welfare cittadino si occupi di effettivi piani di reinserimento, al netto della vuota e demagogica politica assistenziale alimentata da improbabili rinunce a questa o a quella indennità di carica.
Un coacervo di problemi rispetto ai quali ci sarebbe una cosa sola da fare: guadarsi in faccia, tutti, darsi cinque anni - almeno - di tregua e riscrivere le regole del gioco affidando le sorti della città a compagini amministrative di larghe intese, salvaguardando competenza ed esperienza, novità e visione programmatica e progettuale, chiudendo la lunga stagione della finta contrapposizione fra centrodestra e centrosinistra, polarizzata, negli ultimi venti anni, nelle figure della famiglia Cappello e del parlamentare Carlo Sarro, investendo, cioè, su un progetto a medio e lungo termine che rimetta questa cittadina in gioco, posto che amministrare è compito sì difficile e complesso e, proprio per questo, bisognevole di impegni condivisi, non di sterili contrapposizioni o di lotte tra fazioni.
Oggi la vera emergenza della città è quella, appunto, dell’urgenza strutturata, divenuta routine, normalità. La risoluzione dei problemi atavici è indifferibile: tributi, finanza, servizi, opere pubbliche, vivibilità. Chi se ne farà davvero carico, se non vi sarà un ritrovato spirito di autodeterminazione dal basso? Se non si troverà una intesa che abbia una visione programmatica condivisa, finalizzata a formulare più ipotesi progettuali cantierabili nel breve e medio periodo, favorendo un ricambio generazionale alla guida della città, tesorizzando le esperienze degli ultimi venti anni in maniera tale da non commettere i medesimi errori del passato?
Ecco che l’apocalittico scenario del testo di Arpaia “Qualcosa, là fuori”, sembra calato su misura sugli altrettanto apocalittici scenari che, in un futuro anche a breve termine, potrebbero aprirsi su Piedimonte Matese se quei problemi atavici, storici, incancreniti non approderanno a soluzione. Uno scenario inquietante, dove l’antica “piccola Svizzera” della provincia di Caserta si confermerebbe sine die nel suo odierno ruolo di città anonima, asfittica, disillusa e inerte. Rifletteteci un attimo. E’ così oppure no?
#piedimontefutura
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