Elogio della lentezza. La cultura dello Slow. Quanto siamo lontani?

Sono circa 200 le città nel mondo entrate a far parte del circuito Città Slow per essersi contrapposte ai modelli della moderna vita frenetica che tanto fa perdere di vista l’essenza della vita. Una ottantina quelle italiane.

Poche, se paragonate all’interesse manifestato dai cittadini e dai turisti per un modello di vita sempre più semplice e tradizionale. Eppure la salvaguardia degli ecosistemi propri di un luogo dovrebbe farla da padrona nella ricerca del benessere del singolo e di quello collettivo; mettere al primo posto le risorse del territorio, il buon cibo, la memoria locale, le tradizioni. Tutto questo senza dimenticare, o rifiutare, il progresso e la tecnologia che devono, invece, far parte, in un connubio equilibrato e perfetto, dei progetti di ricerca, implementazione, sensibilizzazione, crescita della città.

E allora basta guardare con interesse al turismo sostenibile, all’ospitalità autentica e non conformata, alla conservazione delle aree verdi, al risparmio del suolo, alla promozione delle colture e dell’artigianato locale per poter ambire alla palma d’oro di città lenta.

La città lenta mette a disposizione i propri spazi e le proprie tradizioni aprendosi al mondo tra opere d’arte, spettacoli, festival, antiche botteghe, piccoli teatri, cibo a km zero.

La città, vista come civitas, e non sempre come urbis, mette a disposizione ciò che può. Il proprio museo, la piccola bottega dell’artigiano, i luoghi della memoria, ponendo l’attenzione ai bisogni del cittadino ed ai ritmi naturali dell’uomo, migliorando l’accessibilità alla rete di servizi offerti.

E’ curioso come le città lente si siano sviluppate soprattutto nel nord Italia dove la vita appare, per antonomasia ma anche per consuetudine mentale, frenetica di per sé. Ed invece la lentezza, l’ozio, appartengono, filosoficamente ed antropologicamente, al sud. Ma, evidentemente, vi appartiene anche la pigrizia nel migliorarsi e nel cogliere al volo quelle opportunità che sono già insite nel suo sistema e nel suo dna e che potrebbero incentivare sul serio turismo, occupazione, economie stagnanti.

Tuttavia città come Positano, Amalfi, Gravina in Puglia, Orsara, Ribera, Pollica, Termoli, per citarne alcune, hanno adottato uno stile di vita autentico, hanno sposato la filosofia del “Buono, bello e pulito” e sono entrate a pieno titolo nel circuito slow. Ma anche le più vicine Caiazzo, San Potito Sannitico, Cerreto Sannita, Castelcampagnano, Sperlonga, ce l’hanno fatta, a dimostrazione che le possibilità concrete esistono e sono a portata di mano.

E Piedimonte Matese? Ha avviato questo percorso?

Nulla manca dal punto di vista geografico, molto dal punto di vista urbanistico e del recupero delle tradizioni, delle botteghe, di luoghi simbolo che, ad oggi, sono ancora non luoghi. Un centro storico abbandonato non è simbolo di lentezza ma di poca attenzione alle nostre radici ed alla nostre potenzialità, la mancata cura dei percorsi urbani e montani non sono segno d’accoglienza ma allontanano ed indignano il cittadino e il turista, l’assenza di un piano regolatore che fermi, una volta per tutte, l’abusivismo e le brutture non cammina nella stessa direzione della “lentezza ragionata”.

Ma non manca il buon cibo, l’ottimo vino del Re, il prezioso olio, il sublime formaggio, la dorata cipolla e tanto altro. Non manca l’ospitalità, la ruralità, l’armonia con l’ambiente e i ritmi rilassati.

E allora è necessario accelerare questa lentezza per ritrovare e per ritrovarsi, per spingere l’economia senza sperare nella nascita, tanto auspicata in passato, degli insediamenti industriali. Per vivere al meglio ciò che il territorio ci offre e ci dona.

D’altronde è solo il rifiuto al processo incessante di globalizzazione che può preservarci dall’anonimato.

E, a dirla con Bauman, “La comunità sopravvive nel locale, nell’ambito in cui si è nati e dove si mantengono i legami forti, gli affetti, la cultura. La società, invece, è totalizzante, sempre più vasta, incontrollabile e pertanto sconosciuta. Ne consegue l’insicurezza e la paura di viverla» (Communitas. Uguali e diversi nella società liquida).


di #GiovannaMastrati

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