Tra prassi politica e regolamenti
Autorevoli politologi e studiosi di diritto
amministrativo, italiani e stranieri, conducono da anni studi sulle autonomie
locali e sul loro funzionamento. Un punto fermo dello studio ricade sul
funzionamento e sulla regolamentazione di quello che è il principale organo
della macchina amministrativa, il Consiglio Comunale. Perché vi sia democrazia,
rappresentanza, partecipazione occorre rispettare precise regole e favorire la
discussione in seno alle assemblee elettive. È chiaro a tutti che i Comuni
costituiscono il primo tassello del nostro sistema democratico e per
l’importante ruolo che svolgono sono stati spesso oggetto di riforme che hanno
avuto come fine quello di superare la dispersione delle responsabilità decisionali
e di conferirgli una legittimazione chiara e comprensibile.
Luigi Bobbio
(Politologo, ex docente presso l’Università di Torino) affermava in un suo
saggio:
“il
sistema appare mutevole e fluttuante, è scosso da continui aggiustamenti
promossi dall’alto e da spinte e innovazioni promosse dal basso. In alcuni
periodi i governi locali sono stati prevalentemente dipinti come alfieri
dell’innovazione e del buon governo, in altri sono stati additati come fonti
autoreferenziali di dissipazione delle risorse pubbliche”.
Senza ripercorrere nel dettaglio le
varie riforme che si sono susseguite, questo articolo vuole porre l’attenzione sul
funzionamento a volte distorto delle assemblee elettive. Numerosi sono stati gli interventi di
studiosi come precedentemente detto (Luciano
Vandelli, Professore di Diritto Amministrativo presso l’Università degli
Studi di Bologna; Marco Cucchini,
Professore di discipline politologiche e giuridiche presso l’Università degli
Studi di Udine) sul funzionamento delle assemblee elettive locali, sulla crisi
di rappresentanza che vivono, sulle sempre maggiori competenze spettanti ai Comuni,
sul ruolo subalterno e marginale del Consiglio rispetto alla Giunta nei comuni
medio – piccoli. Chi è avanti con gli anni ricorderà i
Consigli Comunali antecedenti alla riforma degli anni Novanta. Frammentati,
litigiosi, sottomessi alle logiche di partito, si decise di riformarli,
sostituendo un sistema proporzionale con uno maggioritario e con l’elezione
diretta del sindaco, che garantisse l’esecutivo nell’attuazione del programma
in piena stabilità.
Tuttavia il Consiglio comunale ha
visto sè stesso sempre più relegarsi in una posizione marginale rispetto agli
altri due organi, Giunta e Sindaco, talvolta invece fungere da semplice
passacarte. Sia le riforme sia la prassi politica perseguita spesso dagli
amministratori locali, hanno svuotato le assemblee elettive di quelle funzioni
di stimolo , programmazione e controllo che con la riforma avrebbero dovuto
essere le caratteristiche principali. L’indebolimento è risultato molto più
accentuato nelle realtà medie e piccole, compromettendo la qualità della
democrazia locale.
Come afferma il Prof. Luciano Vandelli:
“Si
tratta di trovare un nuovo equilibrio e di disegnare un nuovo ruolo per tutte
le assemblee elettive. È possibile perseguire questo obiettivo non incidendo sul meccanismo
fiducia/sfiducia, ma prestando semmai attenzione ai versanti di significativa
trasformazione della dialettica Consiglio/Giunta, poiché in Italia le assemblee
hanno assunto un ruolo di riferimento nei confronti della società alquanto
particolare”.
Marco Cucchini,
docente presso l’Università degli Studi di Udine, pone una distinzione tra “Forma
di governo egemonica” e “Forma di governo condivisa”; nella prima vi è una
netta prevalenza della giunta rispetto al Consiglio e spesso anche rispetto al
sindaco. Tale situazione porta a indebolire la funzione di controllo e di
stimolo del Consiglio.
“Il
ruolo e le funzioni dell’assemblea risultano compresse dalla previsione di una
presidenza in capo al sindaco o altro esponente dell’esecutivo, dalla
assenza/debolezza di un sistema di commissioni, da un insufficiente sistema di
garanzie e tutele delle minoranze consiliari.”
Nella seconda sono presenti figure
terze in seno al Consiglio, come ad esempio il Presidente, commissioni
consiliari dotate di poteri incisivi, norme a tutela della funzione e delle
prerogative delle opposizioni consiliari.
Per fare un esempio nel caso piedimontese: la
figura del Presidente del Consiglio comunale, che dovrebbe svolgere una
funzione di terzietà e garanzia delle opposizioni per un sano ed equilibrato
svolgimento dei lavori in aula, è stata sempre scelta tra i banchi della
maggioranza. Sebbene il regolamento del nostro Consiglio Comunale preveda una
maggioranza qualificata (4/5 nella prima adunanza, 2/3 nelle successive, la
maggioranza assoluta nella quarta adunanza) per la sua nomina, tale criterio di
maggioranza qualificata è stata sempre disattesa, passando così a votazioni
successive con quorum più bassi e imponendo la propria scelta. Nell’ultimo caso
(giugno 2017) le opposizioni hanno votato scheda bianca, molto probabilmente
perché non vi è stato un minimo incontro e nessun contatto tra i gruppi per la
nomina del Presidente. È da aggiungere che vista la dimensione del nostro Comune,
tale incarico potrebbe essere svolto dallo stesso Sindaco, ma se è stato
fissato nello Statuto, perché non impegnarsi con un maggior dialogo la prossima
volta che si presenterà l’occasione?
In virtù di un sistema elettorale
maggioritario i movimenti o partiti, godono di maggioranze stabili e durature.
Ma l’avere maggioranze solide non è sinonimo di qualità di governo e di
politiche pubbliche largamente condivise. Troppo spesso l’opposizione è
relegata all’angolo della vita amministrativa, e se non tutelato da appositi
regolamenti o dalla presidenza di commissioni, il suo ruolo diviene marginale.
Vi è in sostanza una compressione del Consiglio in favore della Giunta. Eppure,
come anticipatamente detto, il Consiglio dovrebbe essere quel luogo di
confronto tra gruppi, movimenti e partiti, per approvare delibere il più
possibile condivise e migliori, tenendo ovviamente conto del rapporto di forza
che intercorre tra maggioranza e opposizione. Questo aspetto è fortemente
comprovato e studiato nell’analisi delle politiche pubbliche. Il punto di vista dell’opposizione è importante, la
sua partecipazione è necessaria e indispensabile per giungere a politiche pubbliche
il più possibile condivise e accettate, anche perché ricorrere ad istituti di
democrazia diretta non sempre è possibile, agevole ed economico.
di #EmilianoPepe
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